LA GRAZIA DI UN INCONTRO
LA GRAZIA DELLA MISERICORDIA
Un incontro reale, una presenza viva: Gesù risorto davanti agli apostoli. Il saluto di pace, il dono dello Spirito Santo, la missione della misericordia. La grazia della vita nuova della Pasqua potrà raggiungere ogni persona al mondo, risanare il cuore, rilanciare la vita. Gesù esercita la sua misericordia verso gli apostoli, che pure lo avevano abbandonato. Fa un nuovo gesto di misericordia ripresentandosi otto giorni dopo a Tommaso.
Per noi, qual è il cammino della fede? Che cosa dobbiamo fare per credere?
Come Tommaso, abbiamo davanti i testimoni, persone rinnovate dall’incontro con Cristo. Accogliendo la loro testimonianza, i nostri occhi si aprono a vedere Gesù risorto.
Domenica della Divina Misericordia
L’origine della “festa della Divina Misericordia” si colloca nel contesto dell’esperienza mistica di Suor Faustina Kowalska: ella annota nel suo diario che Cristo la invitò a istituire questa festa a Plock in Polonia nel 1931, indicandole anche il momento preciso durante l’anno liturgico, cioè la Seconda Domenica di Pasqua. Questo perché esiste un profondo legame fra il mistero pasquale della Redenzione e la festa della Misericordia: “Le anime periscono, nonostante la mia dolorosa passione… se non adoreranno la mia misericordia, periranno per sempre”.
L’angolo dell’amministrazione
In occasione della Pasqua sono ritornate in parrocchia 93 buste con la somma di 1.620 euro. Grazie!!
Mio Signore e mio Dio!
Il vangelo riporta le prime due apparizioni del Risorto ai discepoli. L’apostolo Tommaso non è presente quando Gesù appare la prima volta la sera del giorno di Pasqua e si chiude nell’incredulità. L’intenzione che l’evangelista persegue con questo episodio è chiara: far capire al lettore che bisogna credere in Gesù anche senza avere la fortuna di vederlo, credere nella sua presenza invisibile ma reale nella vita della Chiesa, credere nell’azione che egli continua a esercitare attraverso i sacramenti. Otto giorni dopo Gesù riappare nuovamente e mostra di conoscere le pretese di Tommaso. L’apostolo incredulo non può far altro che arrendersi all’evidenza dei fatti e confessare la sua fede in Gesù: Mio Signore e mio Dio!
Gesù accetta la confessione di fede di Tommaso ma non si esime dal rimproverarlo, si tratta tuttavia di un rimprovero che è in vista della beatitudine successiva: Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Con questa beatitudine Gesù volge lo sguardo ai cristiani del futuro a coloro che, pur non avendo avuto la fortuna di Tommaso, credono in Lui. La beatitudine afferma che chi non ha avuto la possibilità di «vedere» Gesù fisicamente non è meno fortunato di chi questa possibilità ha avuto. Oggi questa beatitudine è rivolta a ciascuno di noi, e ci ricorda che la fede non nasce dagli occhi ma dal cuore. Ciò che gli occhi non vedono può essere percepito da un cuore che è aperto all’amore di Dio. La vera fede nasce dal profondo di noi stessi, dalla disponibilità a lasciarsi illuminare dai «segni» che sono stati scritti nel Vangelo affinché, credendo in Gesù, abbiamo la vita nel suo nome.
Nei versetti conclusivi, il discepolo amato chiarisce la finalità che si è proposto nel raccontare la storia di Gesù: suscitare la fede in Gesù come «Cristo» e «Figlio di Dio», in modo che l’uomo, credendo, abbia la vita nel suo nome. L’evangelista è un testimone che desidera convincere a partire da «segni», che chiedono però di essere interpretati. Noi, lettori di oggi, siamo rimandati alla responsabilità e fatica di accogliere e lasciar parlare questi «segni», perché ci guidino alla fede e alla conoscenza concreta e vitale del Signore Gesù.
d.G.
VEGLIA PASQUALE
Lumen Cristi. Deo Gratias.
Nel buio denso della chiesa ilo Cero pasquale attraversa la navata. Ed è vero, è proprio vero, quel monito trito e ritrito, scopiazzato nelle canzoni e fin dentro i cioccolatini: solo quando ci manca qualcosa ci accorgiamo davvero del suo valore. Perché, proprio mentre il cero avanza, la mente e lo spirito tornano, portati a mano dal fantasma delle pasque passate, all’infanzia. In quella stessa navata tetra riempita dai canti solenni del coro, che un po’ ci faceva paura. Torna a quei piccoli lumicini che con la nuova fiammella fugace ci facevano compagnia, distribuiti dai chierichetti emozionati alla folla accalcata. E giocavamo con la cera, colata sulle panche antiche o plasmata in piccole palline che giravamo tra le dita. E’ ancora qui quella sensazione, scolpita dalla liturgia nei meandri reconditi dell’ippocampo. E infondo mi dico, mentre il Cero solitario oggi sta giungendo sull’altare e sono grande in questa nuova Pasqua 2021, tra pandemia e malessere: occorre che mi lasci davvero plasmare da Cristo, che lasci che Lui giochi con le mie lamentele, che appallottoli il mio peccato e rinnovi quel lumicino un poco spento che è la mia vita.