XII^ domenica del Tempo Ordinario

20 giugno 2021

NELLA NOSTRA BARCA

Dio è grande: lo descrive il libro di Giobbe e vediamo le sue opere attorno a noi, nella bellezza dell’estate che comincia.
Nel Vangelo l’opera di Dio diventa un’esperienza concreta in Gesù che calma il vento e le onde del lago.
Chi è dunque costui?
Un Dio grande e buono che è venuto a navigare nella nostra barca, per attraversare con noi il mare della vita.
C’è dunque speranza, e la nostra speranza viene dalla sua presenza.
Riconoscendo Gesù presente, rinasce la meraviglia, riprende il coraggio, si apre il cuore all’amicizia e stendono le mani alla collaborazione e alla condivisione.
Ne abbiamo immenso bisogno.

Sabato 19 giugno

viene ordinato sacerdote salesiano a Castello di Godego (TV)
don Giovanni Pojer,
attualmente in servizio a San Giusto.

Domenica 27 giugno

alle ore 10.00
Prima Messa in pineta a San Giusto
di don Giovanni Pojer.

Sabato 26 giugno ore 18.00

Concelebrazione con il Vescovo
per il 50mo di Ordinazione Sacerdotale
di don Alfonso.
Sono invitate anche tutte le coppie che ricordano
date significative del loro
matrimonio o della loro vita familiare.

L’apparente silenzio di Dio

Il vangelo presenta il miracolo della tempesta sedata che, in Marco, da’ inizio a una serie di azioni prodigiose che hanno lo scopo di sottolineare la potenza di Gesù che domina le forze del male nell’uomo e nella natura. Colpisce in questa pagina evangelica il fatto che, nel bel mezzo di una tempesta, Gesù dorme tranquillo nella barca. Questa presentazione di Gesù è immagine e simbolo di un’esperienza che non raramente si prova nella vita: di fronte alla malattia, al dolore, alla sofferenza, ai problemi di ogni giorno, ci sta il «silenzio di Dio», abbiamo quasi l’impressione che Dio dorma, che non ci sia. E’ lo scandalo che sta sempre in agguato nella vita di ogni uomo. Gesù, come per i discepoli, fa appello alla nostra fede: dobbiamo prendere atto che Dio, anche quando sembra dormire, è lì con noi; che, anche se sembra tacere, ha parlato e vuole ancora parlarci. Ogni situazione di male, dolore, prova è sempre ambivalente: è aperta a una straordinaria purificazione e rafforzamento della fede, ma è anche aperta alla disperazione, alla maledizione o all’indifferenza. Il grande comandamento, dopo averci detto di amare Dio con tutto il cuore, ci esorta ad amarci gli uni gli altri. Se la comunità cristiana saprà vivere la propria fede in un clima di amore e sostegno reciproco, le persone che stanno attraversando momenti difficili, anche grazie alla nostra vicinanza, saranno aiutate ad avvertire l’amore di Dio e la sua costante presenza nel cammino della vita. La barca sul mare in tempesta è sempre stata considerata una immagine della chiesa nel mondo, assalita dalle persecuzioni e sconvolta dai dubbi, ma protetta dal suo Signore che può salvarla dai pericoli. La comunità cristiana non è abbandonata a sé stessa e non ha motivo di lasciarsi andare alla poca fede, perché il Signore è sempre al fianco dei suoi e, dietro loro richiesta, li aiuterà a uscire dalle difficoltà. Ai discepoli di ogni tempo e luogo, questo brano evangelico dice che la vita cristiana non è una crociera in un mare piatto e tranquillo, le difficoltà e le burrasche fanno parte della vita e quando sopraggiungono non bisogna avere paura ma confidare nel Signore, e avere la certezza che egli è presente e pronto ad aiutare.

d.G.

Un libro per l’estate: C’è speranza?

In una sorta di dialogo a distanza, il romanziere poeta Davide Mencarelli sull’Osservatore Romano e la giornalista Marina Corradi su Avvenire intervengono sull’ultimo volume di don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, C’è speranza? Il fascino della scoperta (Milano, Editrice Nuovo mondo, 2021, pagine 160, euro 3,80).

Davide Mencarelli: “Vita e morte. Il duello inestirpabile che ci portiamo tutti nel cuore. Questo duello è il culmine del nostro vivere e sentire. Il covid è stato uno spaventoso moltiplicatore. Il terrore di morire e veder morire i propri cari ha strisciato dentro moltissime case, come la depressione montante, anche tra i giovanissimi, oppure il tentativo di far finta che nulla stesse accadendo.” E prosegue: Ma c’è anche chi ha reagito in senso sorprendentemente contrario. Al terrore ha risposto con un desiderio nuovo: ritornare alle questioni profonde dell’esistenza. Partendo dalla domanda fondamentale che investe, o dovrebbe investire, tutti: io chi sono? Allora dove cercare la pienezza? Dove poggiare lo sguardo della nostra attesa? Dobbiamo affidarci all’incalcolabile. All’imprevisto montaliano. Il punto decisivo: Qui entra in scena il Fatto. L’Evento. Abbiamo trovato il messia. Dice Giovanni (1, 41). Perché questo ci chiede la nostra anima. Il Salvatore. E lui è venuto. È nella Storia. Cristo introduce l’avvenimento della salvezza.

Marina Corradi riprende il filo del discorso con due citazioni: Carrón: C’è speranza? «Noi non abbiamo bisogno solo di cure mediche, abbiamo anche bisogno di guardare alla sofferenza e alla morte senza crollare davanti a esse». «Per verificare se la speranza cristiana non delude dobbiamo affrontare quello che la realtà non ci risparmia, nell’incontro e nello scontro con le circostanze, specialmente quelle inevitabili». Ecco la conclusione: Nella paura, si cerca lo sguardo di chi ti è vicino: e se quello è generoso, e in pace, e mostra uno strano coraggio, sorge spontaneo il chiedersi come fa. Così la fede in Cristo si trasmette, in una testimonianza che spesso non ha bisogno di parole. E’ l’amico che ti resta vicino, è il medico che ti guarda come un uomo e non un corpo guasto, è il collega che ti abbraccia nella tua stanchezza. Come fai, chiedi allora, a restare così, in un tale marasma? E’ nei momenti estremi che la speranza in Cristo affiora negli sguardi, in semplici uomini, che però stanno al mondo in un modo diverso, e destano stupore. Chissà quali semi, ora invisibili, germineranno da questo tempo doloroso. Carrón sembra riconoscerli in tante lettere ricevute da amici vicini e lontani. Perché se anche, come speriamo, la vita e il lavoro e la gioia ritorneranno, dopo tanto dolore chissà, se tutto sarà esattamente “come prima”. O se in qualcuno non resterà la memoria di un istante in cui ha avvertito in sé l’aprirsi di una ferita, di una crepa. A noi uomini, le crepe fanno paura. Ma, canta Leonard Cohen, «C’è una crepa in ogni cosa / è così che entra la luce».