N.S. GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
26 novembre 2023
RE CHE ACCOGLIE E SALVA
l Vangelo di questa domenica ci mette di fronte a un punto decisivo:
la nostra persona, e tutta la nostra vita davanti al Signore Dio, nel momento finale.
Che cosa gli presenteremo?
Il tempo, le energie, le azioni.
Soprattutto il rapporto con le persone:
familiari, amici, colleghi, compaesani, estranei…
Come li abbiamo guardati e trattati?
Come li abbiamo amati e serviti?
Ogni persona diventa amabile se la vediamo come segno e riflesso di Gesù, nostro Re e Signore, che ci ama e desidera abbracciarci.
I fiori della preghiera e della carità
In tutti i mercoledì di novembre alle 18,00 recita del Vespro e
S. Messa con Catechesi sulla lettera del Vescovo:
“Partirono senza indugio”
Si ripropone l’iniziativa:
“I Fiori della carità”.
Sul foglio, per aderire all’iniziativa, possiamo scrivere i nomi dei defunti
che desideriamo ricordare nella S. Messa del mercoledì.
AVVENTO
…ma c’è una strada
per la nostra vita?
Per aiutarci in questo
cammino vi proponiamo
alcuni incontri significativi:
Giovedì 30 novembre
Don Gastone
ci ripropone i primi capitoli della Genesi:
La creazione del mondo e dell’uomo
Giovedì 7 dicembre
in Chiesa, alle ore 21
Concerto dalla Banda
Cittadina di Porto Viro
in preparazione alla
Festa dell’Immacolata
Lunedì 11 dicembre
Il nostro Vescovo
ci introduce nel tema:
Maschio e femmina li creò
Venite, benedetti del Padre mio
Il vangelo presenta il grande affresco del «giudizio universale». Il criterio sulla base del quale verrà formulato il giudizio è il comportamento avuto nei confronti dei «più piccoli», vale a dire nei confronti di chi si trova nel bisogno e consiste in sei atti elementari di misericordia: «nutrire l’affamato, dar da bere all’assetato, accogliere lo straniero, vestire colui che è nudo, visitare il malato e il carcerato». Questi sei gesti hanno due caratteristiche che li accomunano. Da una parte portano il segno dell’«evidenza»: dinanzi a un affamato o a un assetato … non è necessario aver frequentato un maestro o aver fatto studi particolari per capire ciò a cui si è chiamati. Dall’altra, questi sei gesti si impongono per la loro «urgenza»: le situazioni di bisogno richiedono un intervento immediato altrimenti diventano irrimediabili. Questi sei atti sono il prolungamento e l’illustrazione del comandamento dell’amore.
Gesù pone un rapporto molto stretto tra questi gesti di misericordia e la sua persona: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Questa solidarietà tra Gesù e coloro che si trovano nel bisogno suscita la sorpresa di coloro che vengono giudicati. Sia gli «eletti» che gli «altri» non avrebbero mai immaginato che stessero amando o odiando il Signore nel momento in cui dimostravano misericordia o indifferenza verso i «più piccoli». Insistendo su questo stupore e rivelando la solidarietà di Gesù con i bisognosi, il testo lascia capire ciò di cui vuole convincere il lettore e/o ascoltatore. Nell’attenzione ai bisogni del prossimo si manifesta il rapporto tra il credente e il suo Signore. Se ogni decisione presa a favore del prossimo in stato di necessità è una decisione presa a favore di Cristo, se ogni rifiuto opposto al misero è rifiuto di Cristo, questo significa che il comportamento concreto dimostra la serietà del discepolo, la verità della sua fede.
Questa pagina evangelica indica qual è il «luogo della fede»: Cristo è creduto e confessato là dove i discepoli sono impegnati nella fedeltà all’amore. Solo l’aiuto concreto nei confronti degli altri testimonia l’autentico rapporto con Cristo. L’appartenenza alla chiesa non conferisce alcuna sicurezza, tutti, e in particolare i credenti, sono in marcia verso il giudizio. Non c’è fede vera e rapporto vivo e autentico con Gesù Cristo senza l’impegno concreto a vantaggio di chi si trova in stato di bisogno e necessità. Solo se faremo questo risuonerà anche per noi al termine del nostro cammino terreno: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo».
d.G.
Venga il tuo regno di verità e di pace
Nel 1925, a seguito degli eventi della prima guerra mondiale, papa Pio XI indisse un “Giubileo della pace”; l’11 dicembre dello stesso anno, con l’enciclica “Quas primas”, istituiva la Solennità di Gesù Cristo Re, a coronamento del Giubileo. Originariamente la ricorrenza era collocata nell’ultima domenica di ottobre, ma con il Concilio Vaticano II è stata spostata all’ultima domenica dell’anno liturgico ed è stata adottata anche dalle Confessioni luterana e anglicana. Parlare di regalità di Cristo oggi ha ancora un senso e se sì, come farla vivere nella nostra società post-cristiana sempre più autonoma da ogni riferimento a Dio e a Cristo? Il prefazio della Messa definisce, quello di Cristo, regno eterno e universale, di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace. Le ragioni che spinsero Pio XI, su richiesta di pastori e fedeli, a istituire la ricorrenza valgono ancora? Nella citata enciclica, il Papa chiedeva ai cattolici un maggiore impegno nella società per accelerare il ritorno alla regalità sociale di Cristo, per opporre «un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società», cioè il laicismo con tutti i suoi errori. Lo scopo del richiamo di Pio XI è proprio contrastare la nascita e la crescita di una società atea e secolarizzata, per l’avere i cristiani allontanato Cristo «e la sua santa legge» dalla pratica della vita quotidiana, dalla famiglia e dalla società. Continuando a negare e rigettare «l’impero di Cristo Salvatore» diviene, così, impossibile una speranza di pace duratura fra i popoli. Da qui la necessità di «instaurare il Regno di Cristo e proclamarlo Re dell’Universo». Dopo quasi cento anni, resta attuale l’analisi di Pio XI, la quale ci aiuta a constatare che anche oggi, l’umanità, quasi idolatrando il principio di autodeterminazione, sceglie di fare a meno di Dio. «Se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo – afferma il Papa –, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società».
+ mons. Giovanni D’Ercole, vescovo