XXV^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

22 settembre 2024

UNA NUOVA PROSPETTIVA DI VITA

Seguire Gesù come Messia che dona la vita, apre una nuova prospettiva ogni giorno. In famiglia, nel lavoro, nella scuola, nella vita sociale cambia la prospettiva: viviamo non per il nostro tornaconto e la nostra comodità, ma per una missione che il Signore ci affida. Siamo padri e madri, educatori e testimoni nell’ambiente in cui viviamo: testimoniamo la gioia di servire il Signore, liberi dalla pretesa di risultati e gratificazioni. La nostra ricompensa è l’amicizia del Signore Gesù.

Domenica 6 ottobre alle ore 15,30 in cattedrale, nel contesto di una celebrazione della Parola,
il Vescovo aprirà il nuovo anno pastorale presentando la sua lettera pastorale.
Dalla cena di domenica 13 ottobre al tardo pomeriggio di martedì 15
si svolgerà la due giorni di formazione del clero diocesano presso la casa
Don Paolo Chiavacci a Crespano del Grappa.

Le Parrocchie
di Porto Viro
vi invitano
nell’ambito dei festeggiamenti
della Patrona,
Maria Madre della Chiesa
a partecipare
a un pellegrinaggio presso
il Santuario di
MONTE BERICO (Vicenza)
domenica 29 settembre 2024.
Quota di iscrizione
€ 15.00 adulti
€ 5,00 i ragazzi.
Iscriversi in Parrocchia

Percorso di formazione
per catechisti
Centro Pastorale
“S. Bartolomeo”

dalle ore 18 alle ore 20
16 settembre 2024
La Creazione
30 settembre 2024
Arte e annuncio del Vangelo
21 ottobre 2024
Laboratorio:
Dall’antica alla
Nuova Alleanza “La Pasqua”
27 ottobre 2024
Mandato ai Catechisti ore 15,30
Madonna della Navicella

L’ARCIVESCOVO DI MILANO CI AIUTAA GUARDARE DENTRO IL BUIO DELLA MORTEDELLA FAMIGLIA DI PADERNO DUGNANO

Io mi immagino che accogliendo Lorenzo il Signore Dio gli abbia detto: perché sei qui, così giovane? Da dove vieni? Che cosa sono queste ferite? Che cosa è stato della tua vita? Io mi immagino che Lorenzo abbia
risposto: “Sono qui, a causa di mio fratello, il mio fratello grande, il mio fratello intelligente. È stato lui che ha interrotto il mio incubo notturno, mentre avevo l’impressione di essere inseguito da un mostro e mi sarei svegliato, penso, come al solito spaventato e rassicurato di essere ancora vivo. Ma in quella notte non mi sono svegliato, a causa di mio fratello, il mio fratello grande, il mio fratello intelligente”. E il Signore Dio ha chiesto a
Lorenzo: “Che cosa è stato della tua vita? Che cosa sarà della vita di tuo fratello, senza di te?” Io mi immagino che Lorenzo abbia risposto: “Ecco, la mia vita è stata un inizio, la mia vita è stata un sogno. Forse qualcuno dirà che la mia vita è stata un niente. Ma invece io voglio essere un inno alla vita, io voglio vivere, vivere in eterno e voglio cantare alla vita, alla sua bellezza, alle sue promesse. Io voglio cantare la vita, anche per quelli della mia età che vivono tristi, arrabbiati, pessimisti. Io voglio cantare la poesia della vita, degli amici, del diventare grande, del coltivare speranze. Mio fratello mi ha impedito di diventare grande e inseguire sogni, ma continuo a vivere in questa gloria della tua casa, Signore, e voglio cantare l’incanto dell’amore, lo stupore del pensiero, il coraggio della fatica. Come farà senza di me Riccardo, il mio fratello grande, il mio fratello intelligente? Ecco io voglio stargli vicino sempre, io voglio consolare le sue lacrime, voglio calmare i suoi spaventi, voglio sperare con lui e per lui. Ecco, sono vivo e voglio cantare la vita, perché sono qui con te, Signore Dio!”.
Io mi immagino che accogliendo Daniela il Signore Dio le abbia detto: “Perché sei qui, Daniela? Da dove vieni? Perché queste ferite?”. Mi immagino che Daniela abbia risposto: “È stato il mio figlio grande, il mio figlio primogenito, il figlio di cui sono orgogliosa. È stato lui a spaventarmi nella notte, è stato lui a ferirmi con l’orrore del sangue di Lorenzo e con il colpo che ha posto fine allo spavento e all’orrore. Per questo sono qui, Signore Dio, a causa del mio Riccardo”. E il Signore Dio ha chiesto a Daniela: “Che cosa è stato della tua vita? E adesso che cosa sarà della vita del tuo Riccardo senza di te?”. E Daniela ha risposto: “Signore Dio, che posso dire della mia vita? Ecco, posso dire del mistero, di quel buio impenetrabile in cui si accende una luce. Posso dire del mistero, di quella gioia sovrabbondante e indicibile in cui si accende una vita; di quell’enigma impenetrabile che diventano talvolta le persone che amiamo; di quelle parole incomprensibili che sconcertano e zittiscono. Posso dire del mistero: la mamma abita il mistero dell’amore, della vita, del generare e dell’accudire. La mamma abita il mistero e non sa come dire e non sa che cosa dire. La mamma abita il mistero ed è solo capace di amare. Come farà senza di me Riccardo, il mio figlio grande? La mamma mette al mondo e lascia partire i figli per la loro strada, ma io continuerò ad abitare il mistero, voglio ostinarmi a seminare una scintilla di luce, anche nel buio più cupo, voglio stare vicino a Riccardo per continuare a rassicurarlo di fronte al mistero, infatti nel mistero abiti tu, Signore Dio, e io sono con te!”. Mi immagino che quando il Signore Dio ha accolto Fabio gli abbia detto: “Come sei arrivato qui? Che cosa sono queste ferite?”. Mi immagino che Fabio abbia risposto: “È stato Riccardo, il mio figlio grande, quasi un uomo ormai. È stato Riccardo che mi ha teso un agguato nella notte dello spavento, e non ho potuto, non ho voluto difendermi, pur essendo forte non ho usato la forza, lo spettacolo era troppo assurdo, troppo sbagliato, troppo, troppo insanguinato. Ma poi subito la vista si è oscurata, l’assurdo è scomparso e sei apparso tu, Signore Dio”. E il Signore Dio ha chiesto a Fabio:
“Che cosa è stata la tua vita? E ora che cosa sarà di Riccardo, il tuo figlio che diventa uomo, senza di te?”. E Fabio ha risposto: “Riccardo, il mio figlio grande, quasi un uomo ormai, forse mi ha sentito come un peso, come un fastidio, come capita a tutti i figli che hanno momenti in cui sentono insopportabile il papà. Ma io ho parole da dire. Ecco: il papà è uomo di parola, è uomo che ha parole da dire, è uomo che aiuta i figli a trovare le parole per dire di sé, della loro inquietudine e della loro speranza. Il mio Riccardo non ha ancora imparato a esprimere in parole quello che dentro l’animo si agita, si aggroviglia, si raggela. Voglio stare vicino a Riccardo e aiutarlo a dire le parole giuste, a dare il nome giusto alla vita, anche al dolore, anche alla rabbia. La parola è già una medicina. Il papà, se ascolta la sua esperienza e ascolta la voce del Signore, sa la parola giusta, sa il discorso rassicurante, sa la parola che incoraggia, che corregge, che rimprovera, che perdona. Ecco: sono vivo presso di te, Signore, per avere una parola da dire al mio Riccardo, il mio figlio grande. Forse mi ascolterà, forse diventerà anche lui un uomo che conosce la parola della verità e la via della vita!”. Ecco: di fronte all’incomprensibile tragedia la parola del Signore ci aiuta a decifrare l’enigma e a raccogliere da Lorenzo, Daniela, Fabio il cantico della vita e della speranza giovane di un fratello, l’intensità dell’amore misterioso di una mamma e la responsabilità della parola vera di un papà.

La tragedia di PADERNO DUGNANO vista dalla parte del
cielo, da un altro punto di vista, quello di Dio.

Il primo sia il servitore di tutti

Il vangelo presenta il secondo annuncio della passione, e annota che mentre Gesù parla di sofferenza e morte, i discepoli sono invece preoccupati dei primi posti, del voler apparire. Alla domanda di Gesù circa l’argomento dei loro discorsi, i discepoli fanno scena muta, praticano una specie di resistenza passiva. Non intendono accettare l’idea di un Messia che giunge alla gloria attraverso l’umiliazione della croce. Gesù, però, conosce i loro pensieri e prende spunto per il suo insegnamento proprio dal tema della loro discussione: Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti. Gesù sottolinea che essi, proprio perché sono i primi, devono attenersi a questo insegnamento. L’istruzione di Gesù vale però per tutti i discepoli. Il «servizio» è l’unica via per divenire grandi agli occhi di Dio. E il «servizio» di cui Gesù parla non è quello dello schiavo, che fa le cose perché viene obbligato, ma quello di chi liberamente e senza costrizione è attento agli altri e si impegna ad aiutarli. Gesù parla di «servitore di tutti», cioè il criterio secondo il quale deve essere prestato il servizio è il bisogno del prossimo, non la simpatia o altre motivazioni più o meno «pelose».
Ricchezza, potenza e piacere: sono queste le cose che molti oggi come ieri pongono in cima alla scala dei valori, e per conseguirle sacrificano tutto il resto. Gesù rovescia questa scala di valori, e pone al vertice l’umiltà, la povertà, la croce. La grandezza cristiana consiste nel mettere sé stessi al servizio degli altri. La parola «servire» riassume tutta la vita di Gesù: Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. La vera grandezza, agli occhi di Dio, non deriva dalla riuscita materiale ma dalla misura in cui si mette la propria vita a servizio degli altri. Per la maggior parte delle persone però riuscire nella vita significa accumulare una fortuna, salire sul podio degli onori, raccogliere a piene mani le rose della vita. Contro questo modo di pensare, Gesù proclama che non esiste vera grandezza se non viene dal dono di sé, disinteressato e generoso, dal servizio verso gli altri, soprattutto dei più indifesi e disprezzati. È quindi necessario lottare contro l’orgoglio che è in noi, cacciare dal cuore il desiderio di metterci in mostra, frenare ogni egoismo, rigettare il desiderio eccessivo dei beni terreni accontentandoci di un tenore di vita modesto. Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11,29).

d.G.